Incontro con il fuoriclasse basco che ha portato i canoni della Bellezza in cucina
La forma innanzitutto. La forma essenziale e perfetta che è composizione degli spazi, rapporto ed equilibrio dei volumi. E poi i sensi, che della forma intercettano durezza e morbidezza, caldo e freddo, pregnanza e leggerezza. Gli stessi ragionamenti degli artisti del Novecento li fa in cucina Inigo Urrechu. Diceva Paul Klee che “l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”. E’ il viaggio del geniale cuoco basco, che, come scoperchiasse una pentola, fa esplodere ciò che fino allora era rimasto sconosciuto ai nostri sensi.
Il merito di Urrechu, tre stelle Michelin, è quello di sapere. Oltre ad essere un grande artigiano – e verrebbe da dire alchimista – sa bene che non esiste cucina al di fuori di una filosofia fondante, che potremmo riassumere in questi punti.
Passione. “La volontà e la passione sono le stelle che muovono il mondo”. E la sua idea di compromissione è di “mettere ancora più energia nelle cose che si fanno, andare oltre il semplice concetto dell’eccellenza”.
Il trionfo dei sensi. L’esperienza deve essere totale: ambiente, musica, intuizioni visive, aromi creano l’attesa “di un futuro imminente” e positivo, i sapori “ricreano in bocca gli ingredienti” che sono stati destrutturati in cucina. Lasciarsi trasportare da Urrechu è un viaggio intorno al mondo e ritorno.
Tradizione. Ma il viaggio è anche e soprattutto dove siamo già stati. Dai luoghi originari da cui ha preso il via alle prime lezioni del suo maestro Martìn Berasategui, tutto in Inigo parla di questo. I suoi migliori piatti non a caso sono i classici, come la stampa di mezzo mondo ha sottolineato. Non c’è futuro che non consideri il passato.
Ricordo. C’è una sorta di patto tra chi cucina e il cliente: il cuoco fa leva sulla memoria per le sue pinceladas gastronomiche, il cliente le serberà per sempre dentro, in un trasferimento di sensazioni che rende mobile e bello il mondo.
Materia e spazio. La scelta delle materie prime, la loro trasformazione, e la sua disposizione nello spazio, ai modi di un artista, il rispetto dei volumi, l’interazione tra spazi pieni e vuoti, sono gli aspetti fondamentali per comporre un piatto.
Il mondo. Fonte d’ispirazione perenne, nel rispetto della tradizione. “Un cuoco è un contenitore, in cui si mischiamo genetica ed esperienze, persone che hai visto e terre con cui sei venuto in contatto”. Inigo è di San Sebastian e da quei mari e montagne è partito, ma è solo nel confronto che ha trovato piena ispirazione.
Equilibrio e sostenibilità. La forma ha bisogno dell’equilibrio. Ma ciò non significa essere perfetti: “Quando cominci a riconoscere che lo stesso mondo è imperfetto, allora sei un po’ più felice di come lo sei stato fino a un attimo fa”. L’equilibrio di Urrechu è la sua dedizione, la maniacalità geniale con cui cucina o dispone i tavoli o cerca la luce nelle stanze. Anche un piatto si sostiene solo se equilibrato con l’ambiente circostante e le persone che ci stanno intorno.
Lavoro. “Provare a migliorarsi ogni giorno è un dovere. Sono molto duro con me stesso, per fortuna”.
Il cliente come interlocutore e amico. “Perderei ogni sfida se non sapessi che tutto parte dal cliente, da cosa chiede e perché l’ha chiesto, da come se l’aspetta”. Interpretare le volontà di chi giunge nei suoi ristoranti è la prima esperienza sensoriale della giornale e la prima forma di rispetto.
Insomma, Arte! Non c’è bisogno che aggiungiamo altro per capire che la protagonista dalla cucina di Urrechu è l’Arte in tutte le sue declinazioni. Che sia la ricerca instancabile della forma o della materia, la “esigenza” dell’armonia o le “esperienze distinte”, che riguardi lo sguardo o la vista, non c’è azione che non comprenda il Bello.
Per questo abbiamo cercato di farvi conoscere Inigo Perez Perez de Laceta, nato 47 anni fa a Villareal de Urrechu (il luogo natio dei Paesi Baschi che gli ha anche dato il nome d’arte come suggerito da Berasategui, che gli diede in mano il famoso El Amparo), attraverso la sua filosofia e non attraverso i suoi piatti, che potrete solo – caldamente raccomandiamo, e come potevamo non farlo – degustare nei suoi tre ristoranti di Madrid. Non esiste esperienza uguale a quella precedente. Non esistono che basi – tavolozze della cucina iberica – da cui partiamo: la cucina del Nord della Spagna che usa spesso il cucchiaio, quella del Centro fatta per gli asadi e dintorni e quella del Sud che privilegia frittura e verdure.
Da qui si decompone e si ristruttura, e spesso chi rimette tutto in ordine – dopo il viaggio enogastronomico – è il cliente stesso. Citando Pablo Picasso, anche “Dio in realtà non è che un altro artista. Egli ha inventato la giraffa, l’elefante e il gatto. Non ha un vero stile: non fa altro che provare cose diverse”. Provare, riprovare, insistere, combinare, mai fermarsi, è il senso di una cucina straordinaria come quella di Urrechu, ma anche della vita stessa.