(articolo di Maurizio Verdenelli) – No, don Giuseppe Branchesi non è morto nella memoria della sua gente. Il parroco di Santa Maria in Selva – assistente regionale Coldiretti, presidente per 12 anni dell’associazione culturale ‘I Polentari d’Italia’ e fondatore della Lube volley campione d’Italia, d’Europa e del mondo – è stato ricordato questa mattina nella sua chiesa, recuperata da lui stesso all’antico splendore, di Santa Maria in Selva.
E’ stato il primo sacerdote marchigiano a morire, il 19 aprile 2020, per Covid. Una ‘battaglia’ condotta con spirito coraggioso e mai rassegnato per oltre un mese e mezzo. Poi la consapevolezza serena della fine, la notte del Sabato Santo, quando don Peppe nella sua stanza all’ospedale di Civitanova Marche trovò la forza di scrivere il proprio testamento spirituale. Una settimana dopo la fine, appena conclusa la messa che da Santa Marta il Papa (mai un Pontefice era stato così ‘suo’ per don Branchesi, il prete dei Cursillos, dal cuore missionario) in diretta Rai celebrava in una Roma illividita e resa desertica dal lockdown. Una messa cui il parroco treiese, anche dall’ospedale, non tralasciava mai d’assistere ogni mattina.
A ricordare il parroco, il Lunedì dell’Angelo, tantissimi. Sold out la chiesa, l’auditorium collegato con telecamere all’altare, ancora tanti fedeli fuori negli spazi adiacenti l’ex antica grancia dell’Abbadia di Fiastra. I parrocchiani che quella fredda mattina del trasporto della salma dall’ospedale civitanovese al cimitero treiese affissero lungo il percorso un unico ripetuto cartello: ‘Grazie Fratello’. Che poi sarebbe diventato il titolo di una raccolta di testimonianze curate da chi scrive – per i tipi dei Marco Ilari, editore in Cingoli – il cui incasso ha contribuito a realizzare la Biblioteca don Giuseppe Branchesi in Togo, nell’ultima missione in cui lui aveva lanciato cuore ed anima.
Assente per i festeggiamenti del patrono San Vincenzo a Chiesanuova di Treia, don Igino Tartabini ha designato a celebrare la messa in suffragio del predecessore, padre Luciano Genga, guardiano del convento del Ss.Crocifisso. Padre Luciano che aveva celebrato quando fu possibile post lockdown il primo rito a suffragio di don Giuseppe, si è detto grato della coincidenza con la festa di San Vincenzo, che gli permetteva di ricordare il confratello che così tanto lo aveva incoraggiato e sostenuto nella sua consacrazione. Una storia quella di padre Genga che commuove, quella di un uomo maturo, con un mestiere, che ‘trova’ Dio ed abbandona il mondo, lo stato laico per il saio francescano che da queste parti fu di casa quando da San Severino, da Treia si raggiungevano per la via francigena Loreto, Ancona e si salpava verso Oriente.
E domani dal Santuario del Crocefisso, alle 19, un’altra messa ricorderà il prete che, in nome della cultura, dello sport, del cibo, dell’amicizia e del sorriso (fondatore di uno tra i più antichi Carnevali delle Marche) unì il suo popolo con gli altri popoli (tanti i gemellaggi internazionali) nel nome di Dio.