Oggi, e domani e per un lungo tempo perchè è stato un grande scrittore, lo ricorderanno come il profeta degli ultimi, lui ultimo. Lo era. Ma Pino Roveredo, scomparso ieri a 68 anni, è stato ancora di più il simbolo e testimone di una dignità, di vita e letteraria: ci ha sempre ammirati e stupiti per questa sua forza civile di mai distrarsi nel combattere le solitudini personali e le emarginazioni collettive.
E’ stato indubbiamente l’erede di Pasolini, friulano anche lui, più che di Bukowski (a cui lo hanno accostato per i suoi passaggi, mentore l’alcol, tra manicomio e carcere). Roveredo ha vissuto, forse più di ogni altro scrittore, una vita reale – nei bassifondi, nei collegi, un tempo “senza fine” con le sbarre alla finestra – ma è stato colui che, raccontandola (imperdibili i suoi “Capriole in salita” con cui esordì, “Mandami a dire”, “Ballando con Cecilia”), più di ogni altro si è affrancato dal suo destino.
Ha nobilitato la vita sua e di tutti coloro che gli sono stati accanto e in questo è stato un gigante della scrittura, che sempre sublima, in meglio, le persone e indica una direzione di verità, estendendo il tempo.
Roveredo è stato un intellettuale vero e reale, uno dei migliori, ma si è giocato questi gradi sul campo. Ha scritto un’opera che si chiama “Mastica e sputa” come la canzone di De Andrè. Ecco, forse è Faber quello a cui più è assomigliato, nella ricerca del vero ma soprattutto in quella di giustizia. Non a caso è stato volontario e operatore di strada, si è sempre occupato di matti e tossici, come garante, e lo è stato anche dei detenuti del Friuli-Venezia Giulia.
Oggi lo ricorderanno come uomo dei vizi, perchè fa sempre scena farlo. Ma con Pino “perdiamo uno degli scrittori più importanti della letteratura italiana contemporanea” come gli hanno scritto ieri dal Premio Campiello (che ha vinto). Senza alcun dubbio ha rappresentato quello che la scrittura deve essere. Ha avuto un fratello di penna, in questo Friuli che tanto ci dona a livello letterario, il poeta Pierluigi Cappello, anche lui recentemente scomparso.
Roveredo e Cappello sono stati scrittori, ci sia concesso, più seri di altri perchè più autentici.
Hanno condiviso l’umiltà e la dignità di un lavoro duro e poco riconosciuto, l’attenzione per gli ultimi e la vita semplice. I loro versi e racconti sono insomma forse stati, anche e soprattutto da un punto di vista tecnico per via della loro implicazione certosina e quotidiana, la migliore rappresentazione e memoria di tutti noi.