Ergastolo confermato per Oseghale. La madre di Pamela: “Ora troviamo gli altri mostri”

“Ora troviamo gli altri mostri”. Neppure la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Perugia, che ha confermato l’ergastolo per Innocent Oseghale, ha lenito il dolore di Alessandra Verni, la madre di Pamela Mastropietro. Chiede ancora giustizia, altra giustizia, adesso che tutto è finito o quasi e la condanna per l’uomo che ha ucciso e fatto a pezzi la figlia un pomeriggio di gennaio di cinque anni fa è ormai un numero da consegnare agli archivi.

Non era da solo, il nigeriano, “perchè ci sono le prove che c’erano anche gli altri” sostiene la madre, da sempre certa del branco assassino, della collaborazione omicida a Oseghale: è nella logica e nelle carte. E anche se la sentenza (il processo d’appello bis riguardava solo il reato di violenza sessuale, riconosciuta, l’omicidio era già stato confermato in Cassazione) le dà “un po’ di sollievo”, Alessandra continuerà il suo personale corpo a corpo contro la banalità del male.

Non si arriverà quasi certamente a riscrivere questa tragica storia che ha sconvolto una piccola città di provincia e l’Italia intera per violenza ed efferatezza. La sensazione, adesso che è stata scritta la parola fine, è che sulla vicenda si sia voluto subito calare il sipario, sin dalle settimane seguenti al macabro crimine, cancellare l’accaduto nella memoria collettiva, negare che il male possa bussare alle nostre porte così dirompente e straziante, un giorno normale, in una qualsiasi città.

“Spero che la condanna sia a vita e senza sconti di pena. Fuori uno. Adesso vediamo gli altri” ripete Alessandra, senza poter vedere negli occhi il torturatore, che al momento della lettura della sentenza non era presente. Nè le avranno dato conforto gli applausi del pubblico in aula. Perchè, come ha commentato il legale di parte civile, Marco Valeri Verni, “non si doveva arrivare qui”. Rimane lo strazio. Pablo Neruda scrisse che “la morte arriva a risuonare come una scarpa senza piede e un vestito senza uomo”. L’inevitabilità del lutto, la banalità del male.

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