E’ convinzione comune da molti anni che Pier Paolo Pasolini il 2 novembre 1975 sia stato ucciso da più persone. Impossibile che il solo Pino Pelosi, allora diciassettenne, abbia potuto infierire su quel corpo con una violenza brutale, che trasfigurò volto e corpo dello scrittore nella tragica notte di Ostia. Il caso Pasolini potrebbe riaprirsi dopo la presentazione di un’istanza alla Procura di Roma per chiedere la riapertura delle indagini da parte de regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti.
Dodici anni fa i Ros individuarono tre Dna sul luogo del delitto. “Quella notte all’Idroscalo di Ostia Pino Pelosi non era solo. Ci sono almeno tre tracce, tre ‘fotografie’ di persone e ciò giustifica il perché, dopo quasi 50 anni, è ancora possibile arrivare ad una verità giudiziaria. Una verità che si baserebbe su dati scientifici”. Allora non si poteva, oggi sì.
Due le ipotesi plausibili su cosa successe quella notte. La prima concerne il furto delle “pizze” di Salò, le pellicole rubate del film di cui Pasolini richiese la restituzione. Alla criminalità che poi lo uccise? La seconda si incentra sul libro “Petrolio”, rimasto incompiuto, che il regista voleva scrivere (ne sono rimaste 70 pagine) sulle vicende Eni e sulla morte (l’omicidio) di Enrico Mattei. E qui il livello dei mandanti ed esecutori potrebbe essere più alto: la P2? Quelli che non avevano interesse che si sapesse la verità sulla vicenda?
Quasi certamente Pasolini è stato attirato in una trappola, forse complice Pelosi, il quale già molto tempo fa rivelò di essersi autoaccusato per salvare da ritorsioni la sua famiglia. Non è stato lui. Dai tre Dna la speranza di dare giustizia a uno dei più lucidi e liberi intellettuali del nostro Paese.