La “intensa e costante attività interforze”, come la chiamano negli uffici competenti, di stallo alla Stazione Centrale di Milano sarà pure interforze ma funziona male. Colpa dei barconi se una donna (“senza fissa dimora” specificano nei comunicati ufficiale, ma anche no da quello che ci raccontano le cronache) viene violentata negli giardini di fronte alla stazione e, all’interno, negli ascensori? O piuttosto la verità è che quella è diventata una terra di nessuno? 

Certezze non ce ne sono, tranne che prendere un treno oggi è più pericoloso che andare in guerra. I numeri che ci forniscono non fanno che confermare la tesi che la sicurezza da noi è un optional: 44mila persone controllate nei pressi dello scalo milanese da gennaio ad aprile, 633 denunciati, 50 arrestati, 300 espulsi, 133 daspo (divieto d’accesso alle aree urbane e fogli di via obbligatori).

Come dire, non ci possiamo fare niente. Se il rischio zero nelle nostre stazione è utopistico, com’è possibile che una task force così numerosa non riesca a pattugliare pochi chilometri quadri?

Il risultato lo sanno anche i bambini. Passare il minor tempo possibile nelle stazioni. Reprimere paure e ansie che ci accompagnano nel tragitto da casa al treno. Sperare nella sorte. I fatti di questi giorni sono spot fatti per i turisti (italiani e stranieri, affinchè non vengano a trovarci). Con cinque casi in poche settimane tra Milano e Roma, chi può sostenere il contrario? E di chi è la colpa? Dei barconi o di chi non controlla?

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