Quattro anni fa i socialisti avevano un milione e seicentomila voti di vantaggio sui popolari. Adesso sono sotto di quasi 800mila. Sta nelle cifre più che nelle percentuali (31,53% PP, crescita di 1,9 milioni di consensi, contro 28,11% PSOE, calo di 400mila) il netto cambio di orientamento politico spagnolo.
Il premier Pedro Sánchez, che da sempre è politico consumato, ha capito l’antifona e ha annunciato elezioni anticipate, non più tra sei mesi ma il 23 di luglio. Quel giorno PSOE e alleati di sinistra, a cui molti elettori hanno rinfacciato con il voto una politica molto “radicale”, potrebbero non governare più il Paese.
Sánchez vuole andare al voto il prima possibile per due motivi: scuotere l’elettorato di sinistra (il progetto “Sumar” della sua ex vice Yolanda Díaz non è ancora decollato) e mettere in difficoltà i Popolari che per governare dovranno comunque allearsi con l’estrema destra di Vox.
Confermata Madrid, con la vittoria rotondissima di Isabel Díaz Ayuso presidente della Comunidad e quella nella capitale di José Luis Martínez Almeida, il PP gioisce anche per altro: le tradizionali raccoforti della sinistra, Valencia e Siviglia, passano in mano al centrodestra. L’Andalusia, è bene ricordarlo, ha cambiato segno, a livello regionale, qualche anno fa. La sua capitale sembrava intoccabile, dopo decenni di progressisti al potere, ma così non è stato.
A Barcellona andrà a casa la sindaca di sinistra Ada Colau, sconfitta da Xavier Trias, candidato degli indipendentisti di Junts per Catalunya. Partito Socialista e Unidas Podemos (che è a percentuali da prefisso telefonico) dovranno cambiare strategia se non vogliono perdere la Moncloa. E che si tratti di voglia di cambiamento, lo testimonia l’affluenza che, nonostante il maltempo, è aumentata.