Venti foto in bianco e nero scattate da Andrea Ulivi tra il 2009 e il 2014. Fino a domenica 10 settembre sarà esposta al Museo Pontificio Santa Casa di Loreto una mostra fotografica dal titolo “Luce mistica d’Armenia”.
Il popolo armeno e la sua identità vengono proposti attraverso volti gioiosi e tristi, gravi e carichi di un senso che nei millenni li ha resi saldi di fronte alle traversie, alla povertà e alle persecuzioni. Volti di bambini, donne, uomini e anziani fieri e consapevoli del loro essere armeni, volti che neanche il “Grande Male”, il genocidio del 1915, è riuscito a estinguere. Molti hanno abbandonato la loro terra dando vita a una delle più importanti diaspore che la storia del mondo abbia conosciuto, molti sono rimasti e altri sono tornati nell’attuale Paese, finalmente libero e indipendente.
I luoghi sacri sono i segni dell’identità viva del popolo armeno, ne testimoniano una spiritualità che affonda le proprie radici nel 301, quando il re dell’allora Grande Armenia, Tiridate III, convertito da san Gregorio l’Illuminatore, dichiarò il cristianesimo religione di Stato. Nell’altopiano armeno fioriscono isolati edifici di culto e monasteri, che, come pietre preziose, si ergono dall’aridità del suolo, duro, difficile, assolato, inondato da una luce abbagliante che questi monasteri e piccole chiese, spesso di pietra chiara, rilucono e conservano nell’oscurità del loro ventre, intatta, per poi restituirla come luce mistica.
Così l’autore Andrea Ulivi racconta la sua passione per la fotografia e per l’Armenia:
“La fotografia per me è una domanda. Una domanda che genera uno stupore e uno stupore che continuamente genera una domanda. L’Armenia mi ha stupito, l’ho vista con fascinazione, me ne sono innamorato: è un rapporto amoroso, assolutamente amoroso. Io amo l’Armenia e fare fotografie a questa terra è un gesto d’amore totale. Non potrei fotografare qualsiasi cosa, non mi riuscirebbe: se non entro in un rapporto reale con l’oggetto. Le cose che fotografo mi pongono domande: nasce così un dialogo”.
“Fondamentali per il mio lavoro le parole che Wim Wenders usa all’interno del testo ‘In defense of places’, quando spiega il suo essere fotografo di luoghi: I guess that’s why I take pictures of places:/ I don’t want to take them for granted. / I want to urge them/ not to forget us. Fotografare i luoghi affinché questi stessi luoghi non ci dimentichino. Non fotografo i luoghi per ricordarli, ma per essere, perché questi luoghi non ci dimentichino, là dove lasciamo le nostre tracce come in un deserto. Soffia il vento. Le dune di sabbia vengono spazzate via. Ma nel profondo le tracce rimangono”.
La mostra sarà aperta e visitabile al pubblico seguendo gli orari di apertura del Museo Pontificio aperto tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18. Maggiori informazioni presso il Museo Pontificio Santa Casa al n. 071-9747198 o museopontificio@delegazioneloreto.it