Enrico Mattei, così si salvò dai rastrellamenti nazisti sulle colline di San Severino

(di Maurizio Verdenelli) – Enrico Mattei e San Severino Marche. “Un intenso capitolo sul quale c’è ancora tanto da scrivere” dice Adriano Vissani, per due mandati sindaco del comune in provincia di Macerata che con i suoi 194 chilometri quadrati è tra i più estesi delle Marche. E dove non poche delle sue tante frazioni distano dal capoluogo oltre trenta minuti di percorrenza d’auto. Una di queste è Gaglianvecchio su colline ‘inaccessibili’ al tempo della Resistenza. Lungo i crinali a precipizio il futuro fondatore dell’Eni era solito percorrere, a piedi o in ‘Topolino’ Fiat, tratturi, saliscendi, fucile in spalla, come un cacciatore qualsiasi e non come un partigiano cui nazisti e fascisti davano incessantemente la caccia. “Il suo riferimento era casa Dari Mattiacci ma pure casolari romiti dai quali l’osservazione era a 360 gradi” ricorda un testimone diretto: Pacifico Fattobene, l’ultimo solitario residente del Castello di Pitino, cugino diretto di Renato Fiacchini, in arte Renato Zero.

“Con i Dari Mattiacci c’era tuttavia una contiguità ed una familiarità completa. E da parte dei primi un senso di protezione completo nei confronti di colui che si erano abituati a chiamare Righetto” dice Adriano Vissani, sindaco per 10 anni di San Severino. Che dai Dari Mattiacci (uno di questi, fino a poco tempo fa, dipendente comunale) ha avuto memoria di quella grande, fondamentale amicizia. “Nei suoi ritorni nel Maceratese, destinazione Matelica, Mattei non ometteva mai di passare a Gaglianvecchio e magari per una battuta di caccia con i vecchi amici che l’avevano salvato dalla cattura in extremis i nascondendo in un cumulo di fascine la ‘Topolino’ o travestendo lui da ‘vergara’ così nascondendolo insieme alle altre donne di casa nell’ala a loro riservata, più off limits ai periodici controlli”.

L’ing. Francesco Merloni e il giornalista Maurizio Verdenelli in occasione della presentazione de ‘La leggenda del santo petroliere’ presso il monastero delle Clarisse a Matelica che Enrico Mattei restaurò completamente a sue spese (foto Genesio Medori)


Mattei non dimenticava i Dari Mattiacci che continuavano a volergli bene come al più caro dei parenti più stretti. Impossibile per chiunque chiedere attraverso loro una cortesia al potente amico, che voleva dire l’assunzione all’Eni cui peraltro non sarebbe mai stato di ‘no’. Ricorda ancora Vissani: “Così una volta, al fuoco di un camino, davanti ad un buon bicchiere di vino (i Dari Mattiacci erano cantinieri eccellenti) Mattei propose al ‘vergaro’ Minicu’ (Domenico ndr) ciò che da tempo aveva in animo di dirgli.

Propose dunque ai Dari Mattiacci di lasciare Gaglianvecchio e di trasferirsi,  loro gli anziani, ai quali tanto doveva in una villa a San Donato Milanese, al Quartier generale presidenziale Eni accanto a lui. Per loro una giusta pensione, spesati di tutto. Minicu’ sorrise scuotendo la testa. La risposta? ‘Righetto, noi siamo come la leppore (la lepre ndr). Dove nasciamo, moriamo’. Mattei comprese subito che sarebbe stato impossibile insistere. E Domenico Dari Mattiacci morì quasi centenario nella casa che l’aveva visto nascere, tra quelle colline che avrebbero protetto la vita del partigiano poi diventato l’uomo piu’ potente d’Italia, dopo Giulio Cesare”. (In copertina e all’interno la cover del libro di Maurizio Verdenelli che verrà presentato venerdì 27 ore 17,30 a Civitanova Marche, sala Ciarrocchi della Pinacoteca Moretti)

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