Tra Fontana e l’Arte Povera. Cagli ospita le sculture di Termini

Il rapporto tra arte, natura e tecnologia è al centro della mostra personale di Giovanni Termini, Come la metti sta, a cura di Marcello Smarrelli. A Cagli, negli spazi del cinquecentesco Palazzo Tiranni-Castracane, organizzata con la collaborazione di Cariaggi, storica filatura di Cagli, l’esposizione presenta una selezione di opere scultoree dell’artista nato in Sicilia ma pesarese d’adozione. 

Termini si colloca in una traiettoria della scultura contemporanea italiana che parte da Lucio Fontana fino all’esperienza dell’Arte Povera. Le sue creazioni sono permeate da un vitalismo materico fondato sul reimpiego e la rielaborazione di oggetti prelevati dalla realtà, configurandosi come “manufatti” che rivendicano esplicitamente una tecnologia di esecuzione. Un processo che si apre al dettato dei materiali, delineando una narrazione intorno all’uomo e alla sua natura. Fermamente situato in uno spazio e proiettato in una dimensione temporale, l’artista in un’intervista dichiara: “Penso che la creatività si nutra proprio dei conflitti che cerca, inutilmente, di sedare. Non vedo altri stimoli alla ricerca”.

Il senso del fare che muove Termini si esplicita nella serie delle opere esposte, che si misurano con il tema del lavoro a partire proprio dall’installazione site-specific Come la metti sta (2024), realizzata con materiali provenienti dall’azienda Cariaggi, in stretto dialogo con l’architettura della sala che la ospita caratterizzata da una decorazione blu ottenuta con l’utilizzo del guado, fino ad arrivare a Dialogo costruttivo (2017), opera dedicata al grande maestro Eliseo Mattiacci, originario di Cagli.

L’universo produttivo che esplora è spesso legato all’atto del costruire e allo spazio del cantiere, qui ricorrente attraverso il travestimento poetico di strumenti tecnici, come il trabattello usato nell’opera Hully Gully (2022). Sempre al contesto del lavoro si può riportare Circoscritta (2016), opera concepita originariamente a commento della tradizione vivaistica della città di Pistoia, apertamente ispirata al Manifesto del terzo paesaggio del celebre giardiniere e paesaggista francese Gilles Clément, che introduce il tema del rapporto con la natura. Quest’ultima è intesa sempre in relazione all’uomo, parte del suo stesso essere, ma in un equilibrio precario che sembra governare tale rapporto. Una precarietà che ricorre come principio fondante della sua grammatica scultorea, spesso attraverso l’inserimento di elementi “incongrui”, come in Tappeto in-solido (2021) o ne L’equilibrio dell’incongruo (2018), che sorprendono l’ordinaria percezione dello spettatore.

Intorno alla materia si gioca di fatto una partita decisiva nel lavoro dello scultore, che fa spesso ricorso a oggetti ordinari sottoposti a processi di manipolazione tecnologica come la galvanizzazione, impiegata ad esempio in Cordone (2021) e ne La specularità delle divergenze (2022).

Questo trattamento, solitamente applicato alle superfici metalliche per incrementare la resistenza alla corrosione, rappresenta per l’artista un tentativo di rispondere alla vitalità dei materiali, di arrestarne l’inevitabile decadimento fissandone l’aspetto. Si tratta, tuttavia, di un tentativo destinato alla sconfitta, in quanto l’alterazione chimico-fisica prosegue comunque sotto il rivestimento metallico, consegnando l’opera al paradosso dell’ambiguità.

Un interesse plastico è evidenziato da Termini anche nel ricorso ad altri media, come la fotografia. Nel dittico La misura di una distanza (2022-23), parte della superficie dell’opera è rimossa svelando il supporto metallico, conferendo visibilità e, conseguentemente, rilievo al supporto dell’immagine.

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