“Solo una società statica ha un’identità culturale chiara. Non Pesaro, noi siamo figli del ‘melting pot’. Non siamo più la città delle ceramiche o delle moto e neppure la città di una sola cultura identitaria”. Una chiacchierata con Giorgio Tornati, ex sindaco di Pesaro dal 1978 all’87, protagonista della storia politica e culturale della città da più di mezzo secolo, è sempre un piacere e un viaggio “controvento” (così ha chiamato la sua “biblioteca diffusa” al centro della città, aperta a tutti e centro di diffusione culturale unico nel suo genere). Controvento, come spetta all’intelligenza senza compromessi. Ma anche controvento nel suo significato etimologico: è il “tirante utilizzato per irrigidire le strutture che tengono in piedi un edificio pericolante”. Sta scritto nella vetrina di questo meraviglioso spazio pieno di libri in via Passeri. E sotto, giusto per sottolineare l’attualità del messaggio, si legge una frase di Marguerite Yourcenar: “Fondare biblioteche è un po’ come costruire granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi vedo venire”. Hic et nunc.
L’identità, dicevamo. Difficile per una città che aveva 43mila abitanti nel dopoguerra e oggi ne ha più del doppio. Dai centri contadini e mezzadrili molte famiglie scelsero di venire qui, attratti da un futuro forse meno faticoso e forse più “scintillante”, lavorando per le fabbriche in grande espansione, come quelle del polo del mobile, Scavolini, Berloni e Febal. Ed è proprio in quegli anni che c’è stato bisogno dell’illuminato Tornati – consigliere comunale e poi sindaco per un decennio sulla scia di altri primi cittadini di spessore, da Giorgio De Sabbata a Marcello Stefanini fino appunto a lui – per costruire una politica culturale nuova che rendesse protagonisti vecchi e nuovi abitanti della città. Una Politica con la p maiuscola che dirigesse e avvicinasse tutti alla fruizione del Bello.
Una visione culturale ad ampio raggio, con il coinvolgimento anche delle periferie, che Tornati volle mettere in campo: dare vita autonoma al Rof anche grazie alla riscoperta delle opere integrali di Rossini, le cosiddette “edizioni critiche” che hanno “fatto parlare” il mondo; dare impulso alla Mostra internazionale del Cinema (“Che costituì un porto franco per film e registi che si opponevano ai regimi. Nell’81, per esempio, a seguito dell’invasione dell’Afghanistan, bloccarono i visti ai registi sovietici, peraltro invisi all’Apparato russo. Un’ingiustizia a cui rimediai facendo leva su Forlani, pesarese anche lui, che all’epoca era Ministro degli Esteri” sottolinea l’ex sindaco); soprattutto, rendere partecipi tutti, qualificando i quatieri e gestendo quell’immigrazione coinvolgendo tutti negli eventi (“Si creò una sorta di città ideale: biblioteche di quartiere, attività decentrate. Parlarono molto di noi in tutta Italia”). Per la cronaca, Dario Fo andò in quegli anni a recitare in una sala del quartiere Montegranaro. Delle sculture sparse per tutta la città, nel ’71, se ne ricordano tutti, perchè, come non essere d’accordo, la Cultura fosse fruibile per tutti.
Il sindaco Oriano Giovannelli operò su questa linea dando vita alla biblioteca di San Giovanni, oggi indiscusso punto di riferimento della Cultura pesarese. Insomma, quegli amministratori crearono strutture permanenti che ancora vivono di luce propria. Ed è proprio qui il cruccio attuale di Tornati. Di quella città “esclusiva”, unica e brillante in ambito culturale, si è passati, a torto o a ragione, a una flessibilità organizzativa, come richiede il mercato “usa e getta” dei nostri giorni. “Bisogna ancora puntare – continua Tornati – su una programmazione di alta qualità ed eventi di durata medio-lunga, oltre che su strutture permanenti che possano servire anche per lo sviluppo turistico. Avere ampiezze e il coraggio dell’impopolarità. Legarsi con Urbino, per esempio, è fondamentale”).
Nel suo Laboratorio di idee di via Passeri Tornati continua il suo lavoro: i racconti individuali si fanno Storia, piccole o grandi che siano, e si mettono sul tavolo progetti che siano una sorta di assicurazione verso il futuro. Una politica culturale, fatta di illuminati, che continua, anche e soprattutto a sostegno della comunità e dell’amministrazione che, appena confermata, continua nel suo lavoro da Capitale della Cultura.