L’inferno. Ventisette anni fa, di notte

(articolo di Maurizio Verdenelli) – 2.33, 11.40: l’Apocalisse bussa due volte a Cesi (Serravalle di Chienti) sull’altopiano 27 anni ed un giorno or sono. A Collecurti nella notte muoiono abbracciati due anziani coniugi, ed altre vittime fa l’Apocalisse nel crollo di parte della copertura dell basilica maggiore di San Francesco ad Assisi.

Il nome del Poverello, l’immediatezza mediatica (la tragedia in diretta su una tv umbra) fa del terremoto umbro-marchigiano un ‘unicum’ sulla stampa nazionale e mondiale. Diciannove anni più tardi sarà così anche per Norcia nel nome di San Benedetto. ‘L’Italia colpita al cuore’ titola a nove colonne il ‘Corriere della Sera’. Bilancio definitivo: 11 morti, 100 feriti, 80.000 sfollati.

E tante immagini che resteranno nella storia di questa meravigliosa e drammatica Terra di Mezzo d’Italia, d’Europa, del Pianeta stesso Giovanni Paolo Ii che sorseggia il the insieme con una coppia d’anziani in una baracca; don Terremoto (al secolo don Primo Grasselli, parroco di Cesi) che salva centinaia d’opere d’arte ed insieme la memoria dell’Altopiano solcato da duemila anni di civiltà umane; ‘il sindaco del terremoto’ Venanzo Ronchetti che per 6 mesi letteralmente non dormira’.

Venanzo come un novello Mosè guidera’ il suo popolo serravallese fuori dal deserto della devastazioni. Ed ancora l’assessore alla Protezione civile Bruno Di Odoardo (generoso spirito socialista) geniale elaboratore insieme con il governatore Vito D’Ambrosio di un nuovo e vincente modello di ricostruzione. Che in pochi anni risolve il 90% dei casi con rivoluzionari percorsi: dalle lamiere delle baracche al legno strutturato di case confortevoli, e da queste a quelle nuovissime in muratura. E soprattutto i COM di Muccia e Fabriano con a capo un giovane ed entusiata ingegnere che viene dagli IACP: Cesare Spuri. Cesare mi parlerà della sua esperienza, a lungo (una parte pubblicata su ‘Il ragazzo e l’Altopiano’, Ilari editore). Spuri se ne andrà in pensione a metà di un’altra analoga esperienza a capo della ricostruzione post sisma 2016. Su questa, nonostante ogni mia personale sollecitazione, neppure una parola da Cesare. 

Ricordiamo ancoracome l’emergenza del terremoto relegò per sempre in soffitta sul piano comunicazionale il fax, per aprire in prima assoluta mondiale la strada ad internet. Personaggi ed interpreti decisivi per il dopo Apocalisse: tra questi pure la mitica ‘cagnetta’ diventata popolare perchè ‘annusava’ in anticipo senza tema di errore l’arrivo dell’ennesima scossa tellurica in quel tragico fine anno ’97 e la non meno infelice primavera seguente.

Eppure furono tempi della speranza. “Il premier D’Alema – ricorda Ronchetti – sorrise quando mi disse di non scivergli più dopo che con una lettera gli avevo fatto… scucire tremila miliardi per la ricostruzione. Ed averlo indotto a riconfermare Capo della Protezione Civile il valoroso prof. Franco Barberi. Erano anni in cui i governi ascoltavano la voce dal basso… se ancora fosse cosi l’ex commissario Giovanni Legnini sarebbe ancora al suo posto, pur con tutto il rispetto per l’opera dell’attuale successore sen. Guido Castelli”. 

Venanzo Ronchetti (a dx) con il giornalista Maurizio Verdenelli 

Ma la base fa sentire ancora la propria voce, Venanzo?

“Noi battevamo i pugni sul tavolo. Ed ottenevamo ciò che contava. Il viceministro Baldassarri e il presidente dell’Anas concessero a Serravalle di Chienti il ‘casello’ sulla superstrada Valdichienti la cui mancanza sarebbe stata per il paese devastante come un altro sisma. Ma adesso sento voci troppi flebili salire dal cd. ‘cratere sismico’. Gli effetti si vedono purtroppo: ricostruzione solo a metà dopo 8 anni, macroburocrazia solo in piccola parte attenuata. L’eccezionale ‘ricetta’ Di Odoardo-D’Ambrosio in un cestino. Chissà perche'”. 

Già, perche’ Venanzo?

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