In tredici anni, dal 2011 al 2023, sono 550 mila i giovani italiani di 18-34 anni emigrati all’estero. Al netto dei rientri, il dato è pari a 377 mila. Si stima che al capitale umano uscito corrisponda un valore di 134 miliardi, cifra che potrebbe triplicarsi se si considera la sottovalutazione dei dati ufficiali. È quanto emerge dal Rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, realizzato dalla Fondazione Nord Est e presentato al CNEL.
“La scarsa attrattività dell’Italia per i giovani – ha dichiarato il presidente del CNEL Renato Brunetta – è una vera e propria emergenza nazionale, economica e sociale. Siamo entrati in una fase critica di carenza e fuga di giovani dal Paese. I giovani scarseggiano per le imprese, mancano nel sistema della PA e mancheranno sempre di più in ogni ganglio vitale della vita civile ed economica dell’Italia. Insensibilità e immobilismo sono scandalosamente inaccettabili”. Il presidente Brunetta ha anche annunciato il lancio dell’Osservatorio sull’attrattività per i giovani: “Vogliamo accendere un faro su una questione cruciale. Chiameremo a partecipare tutte le istituzioni coinvolte e sarà aperto ai contributi del mondo accademico e dei centri di ricerca”.
“Il valore del capitale umano uscito è stimato da Fondazione Nord Est in 134 miliardi. Ma il deflusso reale – ha affermato Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est – è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei. Nel movimento di giovani persone tra i Paesi europei l’Italia partecipa da grande fornitrice di persone ed è quindi fuori dalla circolazione di talenti perché è ultima per attrattività. È pericoloso continuare a cullarsi nella favola bella che facciamo parte di quella circolazione, perché vuol dire fingere che la bassa attrattività non esista. L’emigrazione dei giovani italiani non solo rende più difficile per le imprese la ricerca di persone da assumere ma accentua enormemente il mis-match tra domanda e offerta di competenze”.
“I giovani tra 11 e 35 anni – ha evidenziato Cinzia Conti (ISTAT) – che risiedono all’estero sono 1,6 milioni. Una popolazione che sta aumentando e che sta cambiando, perché un segmento rilevante sta acquisendo la cittadinanza dei Paesi dove sono emigrati. La quota di ragazzi di 11-19 anni che vorrebbero vivere all’estero da grandi sono il 30,7% e le ragazze il 37,9%. Il Paese più indicato sono gli Stati Uniti. I dati mostrano anche una relazione che vede una maggiore propensione ad andare all’estero per chi appartiene a una condizione socio-familiare meno buona”.
“Entro il 2040 la popolazione tra i 15 e i 64 anni – ha sottolineato Eliana Viviano (Banca d’Italia) – si ridurrà di 5,4 milioni di individui (-14,4%). Ipotizzando che la partecipazione al mercato del lavoro segua i trend attuali, il calo demografico potrebbe comportare una riduzione della forza lavoro nel 2040 di circa il 9% rispetto a oggi, che può corrispondere a un analogo calo del PIL. Sul mercato del lavoro incide soprattutto la scarsa partecipazione di giovani e donne. In particolare, per la componente femminile si registra ancora una marcata child penalty. La nascita di un figlio spinge le donne a lasciare l’occupazione: la probabilità per le donne occupate di non avere più un impiego nei 2 anni successivi alla maternità è quasi doppia rispetto alle donne senza figli”.
“Il Sud ha sempre vissuto un intenso fenomeno di emigrazione. Ma ora è un dramma – ha detto Luca Bianchi, direttore generale di Svimez – perché avviene in un contesto demografico molto diverso dal passato. Un tempo l’emigrazione aiutava quanto meno a ridurre la pressione sul territorio, ora non è così. Un tempo l’emigrazione riguardava più gli over 40, ora avviene il contrario. Gli under 40 dal 2002 al 2024 sono diminuiti di 2,1 milioni (-12,4%) nel Centro-Nord, contro i 3,1 milioni nel Mezzogiorno (-28%). Uno su due dei giovani meridionali che vanno al Nord è laureato. Si va via dal Sud per lo stesso motivo che spinge i giovani settentrionali ad andare all’estero. I nodi sono nel mercato lavoro, nei servizi, in particolare per quel che riguarda la conciliazione, nello spopolamento dei territori, che determina bassa partecipazione dei giovani. Su tutto questo dobbiamo intervenire”.
Per ogni giovane che arriva in Italia dai Paesi avanzati, otto italiani fanno le valigie e vanno all’estero. L’Italia si piazza all’ultimo posto in Europa per attrazione di giovani, accogliendo solo il 6% di europei, contro il 34% della Svizzera e il 32% della Spagna. Il 35% dei giovani residenti nel Nord Italia è pronto a trasferirsi all’estero. Tra le motivazioni principali, spiccano le migliori opportunità lavorative (25%), le opportunità di studio e formazione (19,2%) e la ricerca di una qualità della vita più alta (17,1%). Solo il 10% considera il salario più elevato come principale ragione per l’espatrio.
Benessere percepito, visione del futuro e condizione professionale spiegano perché il 33% degli expat ha intenzione di rimanere all’estero, contro il 16% che sa che ritornerà in Italia (prevalentemente per ragioni familiari). Il 51% andrà dove si presenteranno le migliori opportunità. Non a caso, l’87% degli expat valuta positivamente l’esperienza all’estero. La principale ragione per restare all’estero è la mancanza in Italia di analoghe opportunità di lavoro, seguita dall’opinione che nel Bel Paese non ci sia spazio per i giovani, che non ci sia un ambiente culturalmente aperto e internazionale e che la qualità della vita sia migliore negli altri Paesi.