L’ultima fatica della scrittrice Pina Mafodda è il “The Carovilli Case: l’emigrazione italiana tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo”, una raccolta di diverse interviste condotte con discendenti di terza e quarta generazione che hanno conservato documenti e lettere dei loro antenati, insieme alla memoria delle storie tramandate oralmente dai genitori ai figli.
Della Mafodda ricordiamo “Utopia. Il naufragio tra cronaca e storia”, che narra la tragedia, il 17 marzo 1891, del piroscafo Utopia, di fabbricazione scozzese, in partenza dall’Italia con destinazione New York, affondato davanti al porto di Gibilterra. Cinquecento vittime, migranti italiani provenienti dalle province più povere del Sud d’Italia, partiti in cerca di fortuna.
“Più di quattro milioni di italiani emigrano negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Quasi tutti coloro che intendono intraprendere questo percorso si affidano ai cosiddetti agenti di emigrazione, personaggi senza scrupoli che spesso e volentieri – soprattutto prima della regolamentazione delle loro funzioni con la legge del 1901 – raggirano i poveri contadini del Meridione con la promessa di terre floride e guadagni facili oltreoceano… Chi si ammala durante il viaggio, eventualità tutt’altro che rara viste le pessime condizioni igieniche, verrà immediatamente rimpatriato una volta raggiunta la destinazione scelta. È in questo periodo che molte compagnie di navigazione, fiutando il business dell’emigrazione come particolarmente redditizio, trasformano i propri piroscafi, adibendoli non più a trasporto merci, bensì a trasporto passeggeri”.
“L’Utopia non ha portato lontano i viaggiatori, non sono arrivati in America – ha scritto Mafodda – Si sono fermati dove finisce il mondo, dove il Mediterraneo e l’Oceano si confondono e si fondono reciprocamente; dove le navi passano, i viaggiatori abbracciano la speranza e un sogno”.