Storie d’emigrazione, plurali come le Marche

Intervista al prof. Marco Moroni – “Le Marche sono state plurali anche nell’emigrazione. Dal 1870 i 500mila nostri conterranei diretti all’estero non sono partiti solo verso Argentina e Brasile. Ad Ascoli sono andati prevalentemente verso gli Stati Uniti, da Pesaro si sono diretti verso l’Europa”.

Docente di Storia economica all’Università Politecnica delle Marche, Marco Moroni si è occupato a lungo di Emigrazione con saggi, libri (“Emigranti, dollari e organetti”) e soprattutto studi. Ha fatto parte del Comitato scientifico in occasione dell’apertura di quella eccellenza marchigiana che è il Museo dell’Emigrazione di Recanati, la città in cui Moroni vive e opera.

“Nel corso del tempo ho potuto notare che abbiamo quasi rimosso l’attività migratoria. L’abbiamo per così dire edulcorata. ci siamo convinti che noi eravamo i bravi e i buoni, abbiamo messo da parte le persecuzioni e umiliazioni. Ho conosciuto in Germania Teresa Baronchelli, una donna che ha lavorato a lungo nel carcere di Friburgo: per molti anni ha aiutato gli italiani che erano là dentro, poi sostituiti, con la nuova ondata migratoria, da slavi e turchi”.

Lei ha studiato in modo specifico dei “casi” territoriali di emigrazione.

“E’ il caso di Castelfidardo e dei suoi artigiani della fisarmonica. Un intero paese è partito verso gli Stati Uniti, non verso l’Argentina dove c’era già il popolare bandoneon. Si mettono a produrre strumenti là. Alcuni torneranno, altri rimarranno nelle città statunitensi. Nelle Marche l’esperienza migratoria non depaupera i paesi d’origine, anzi li arricchisce. L’attuale via Marconi a Castelfidardo è chiamata, per esempio, “via dei dollari”. C’è dunque il dato positivo delle rimesse dei migranti, denaro fresco e prezioso che arriva in comunità che avevano sofferto sino ad allora una pressione demografica insostenibile, ma certo poco si considera in queste storie il taglio dei rapporti sociali e le sofferenze patite”.

Ma dirigersi da Castelfidardo verso gli Stati Uniti è stato comunque un esperimento per così dire riuscito, o no? 

“Certo. Il legame tra emigrazione e imprenditorialità è stato, a mio giudizio, poco messo in evidenza negli studi. Chi va acquisisce competenze, relazioni, reti, capitali. Quando ritornano diventano piccoli imprenditori sul territorio e queste aziende hanno un legame con quei Paesi che li hanno originariamente accolti: le “piccole Italie” di cui è pieno il mondo. L’emigrante costruisce città a somiglianza di quelle originarie, parla italiano, vuole una moglie italiana e cibi italiani. Ma questo significa anche che con i Paesi dove si è stati si stabiliscono forti rapporti commerciali e distributivi stretti che producono benessere”.

Questo legame si è mai spezzato?

“Nel caso di Castelfidardo solo quando cambiano i gusti musicali. La fisarmonica è sempre stata lo strumento che accompagnava le nostalgie della terra lasciata e i momenti forti della vita. Arrivarono rock e chitarre, bisognava diversificare. Quello che hanno poi fatto con intelligenza, cito la Farfisa di Camerano con gli organi e Oliviero Pigini che a Recanati fondò la Eco, la più grande fabbrica italiana di chitarre”.

A Recanati c’è anche la storia dei Guzzini da raccontare.

“I Guzzini vanno agli inizi del Novecento in Argentina. Il capostipite Enrico raggiunge il fratello per dargli una mano nella lavorazione dei pettini in corno. Si specializzano poi in tabacchiere e bocchini. Quando torna nelle Marche, con nuove capacità artigianali e soprattutto capitali, continua nel settore, affrontando anche crisi difficili come quella del 1929-30, periodo in cui il corno non si trovava, e inventano poi nuove soluzioni imprenditoriali, arrivando fino alla plastica. Il resto della storia lo conoscono tutti”.

Oggi c’è un cammino all’inverso. Italo-discendenti che vogliono tornare nel Paese dei loro nonni o bisnonni.

“Fino a poco fa sono tornati moltissimi argentini. Io stesso sono figlio di questa emigrazione: mia madre è nata a Buenos Aires, cinque zii sono morti nel Paese sudamericano. Il Turismo delle Radici può interessare molti in Italia, non solo a chi vuole arrivare. A conferma di questo un’annotazione: negli Stati Uniti anche dopo molte generazioni, continuano a definirsi italo-americani. Perchè mai? si chiedono gli statunitensi autoctoni. Perchè non vogliono nascondere le loro origini, anzi ne vanno fieri”.

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