“Popolo ungherese! Nella scorsa settimana, si sono diffusi, con una tragica velocità, sanguinosi avvenimenti, in conseguenza dei tragici errori e dei delitti dell’ultimo decennio. Essi hanno trovato il loro epilogo negli avvenimenti di cui siamo stati testimoni coi nostri propri occhi. Nell’ultimo millennio circa, il destino non ha risparmiato il nostro popolo da duri colpi, ma scosse simili a quelle che abbiamo vissuto questi giorni, la nostra patria forse non le aveva mai viste”. Parole di Imre Nagy, martire della fallita rivolta (fu impriogionato e ucciso dal governo comunista ungherese), oggi considerato un eroe nazionale. E per ricordare quel desiderio di libertà che finì in un bagno di sangue e in un tragico esodo, gli ungheresi e tutti gli uomini liberi omaggiano ogni anno il 23 ottobre.
E’ la 66esima volta, da quel lontano 1956, che un’intera comunità ricorda la speranza e la tragedia, i 200mila esuli, molti dei quali giovani e universitari, e i tanti morti per la libertà, giovani e adulti. A Loreto il gruppo degli Ungheresi nelle Marche ha organizzato nell’occasione un evento – presenti anche connazionali provenienti da varie parti d’Italia – per quella che László Molnár, testimone oculare dei fatti, ha definito “non una Rivoluzione organizzata dagli imperialisti, come ci volevano far credere, ma una ribellione nata da uno spontaneo amore per la nostra Patria”.
László ha raccontato il suo arrivo a Bologna dopo un viaggio infinito: “All’epoca tra i docenti universitari vi era un professore ungherese, Emerico Váradi, titolare della cattedra di Storia e Letteratura ungherese, che decise di aiutarci. Molti si trovavano nei campi profughi nei dintorni di Bologna, a Ravenna, a Ca’ di Landino e altre località. Váradi chiese e ottenne che si riunisse il Senato Accademico per vagliare la proposta di accoglierli in seno all’Alma Mater. La proposta fu unanimamente accettata”. Furono assegnate 25 borse di studio, che compendevano le spese universitarie, l’alloggio alla Casa dello studente e due pasti al giorno in mensa, e assunti due docenti ungheresi. La Croce rossa italiana dal canto suo erogò 5mila lire al mese ai giovani studenti e fornì gli indumenti.
Nel suo racconto, László Molnár, che all’epoca aveva 25 anni, ha ricordato come si creò una rete di solidarietà per questi ragazzi (il dottor Mestitz per l’assistenza sanitaria, la signora Kisfaludi Dala per le questioni amministrative, il dottor Sándor con il suo ambulatorio dentistico).
“La nostra presenza a Bologna non era passata inosservata a Sua Eminenza Cardinal Lercaro che, fedele ai precetti cristiani del ‘date da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, vestite gli ignudi e consolate chi soffre’, tante volte ci invitava alla sua tavola presso l’Arcivescovado o in estate a Villa Revedin sulle colline bolognesi”.
E solo un traduttore “improvvisato, che parlava non l’italiano ma la lingua di Virgilio e dei Papi”, un giovane seminarista, permise che Sua Eccellenza e i ragazzi si comprendessero. “Dopo 65 anni, ricordarmi di tutti i bolognesi che ci hanno aiutato è impossibile. Ma ricordo i loro meriti, un po’ come si fa con i soldati di cui non è rimasta traccia del nome ma solo del gesto”.
Quattordici di quei ragazzi d’oro si sono poi laureati all’Università e hanno amato la loro seconda Patria, vivendoci.
E’ merito di chi ha resistito alle atrocità che oggi il grido di libertà di quegli eroi ungheresi si possa udire in ogni angolo del pianeta. Oggi a Loreto abbiamo avuto testimonianza che nessuna dittatura può sconfiggere cultura e fede. Sentimenti che sono innati nel popolo ungherese e nella sua antica storia di civiltà.