L’inevitabile resa dei conti con la nostra gioventù. Esce il libro coraggioso e ironico di Mauri Mines

A pochi artisti è rimasto l’ardore, il sacro fuoco che muove la danza delle parole scritte e cantate, il “furore” che ci fece scoprire John Steinbeck: “Ho finito per persuadermi che un uomo deve lasciarsi vivere. Prendere la vita come viene, e non cercare di modificarla”.

Cantautore, musicista, produttore e scrittore, Mauri Mines, il nome d’arte scelto da Maurizio Minestroni per affrancarsi da un mondo “ufficioso più che ufficiale”, è tra quei pochi; come un eroe romantico è rimasto “a quel tempo”, quando quei fuochi ancora ci stupivano.

Mines ci ha voluto regalare un libro, presentato nella stupenda casa dell’editore Andrea Balietti, che è un viaggio ironico e colto lungo quella gioventù ribelle che non abbandona mai i veri artisti. “Un marchigiano mai sceso a compromessi con la fica” (autoprodotto per ora, reperibile su www.youcanprint.it) è la sua educazione sentimentale, la sua lucida critica alle (troppe e dilatate) pause della gente che vive a queste latitudini: l’atto d’accusa contro le consuetudini, gli smorti riti collettivi, l’ipocrisia degli astanti.

Viene in mente il proclama leopardiano “L’armi, qua l’armi: io solo combatterò, procomberò sol io” e infatti Mines è di Recanati. Sia chiaro, c’è poco di Giacomino in questo libro, ma la radice dell’insoddisfazione è la stessa e anche la ribellione all’esistente, al visibile, al noto.

Minestroni è un talento: lo è stato con i suoi album e lo è con questo volume, il primo di una trilogia. Ci fa ingioiare pillole amare (sta infatti parlando non solo della sua ma anche della nostra gioventù) con un’eleganza superiore, quella dell’ironia. Ci fa sorridere amareggiandoci (perchè ciò che leggiamo è tutto vero). Dice ciò che non si dovrebbe nemmeno pensare. E quando “viviseziona” le donne è per ringraziarle.

Il libro di Mines è insomma un grande atto d’amore verso la vita, le compagnie di allora e di oggi, il tempo che passa. In pochi l’hanno fatto così ironicamente e sottovoce, proprio per schernire l’assordante rumore dell’inutilità del tempo.

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