La guerra civile, la fame, il terremoto. La sorte crudele di Aleppo

Chissà se è rimasta in piedi, bella e imponente, la Cattedrale armena dei Santi Quaranta Martiri a Jdeydeh, il quartiere cristiano di Aleppo. Sarebbe meglio dire: di ciò che rimane di cristiano perchè dopo dodici anni consecutivi di guerra civile e fanatismo islamico di una delle più belle città dell’Oriente non è rimasto niente.

Il terremoto di ieri tra Turchia e Siria ha dato il colpo finale a questa povera gente. La dispora armena, allora, e l’apocalisse di oggi. Cosa avrà mai fatto Aleppo agli occhi di qualche dio, se ancora ne esiste qualcuno, per meritarsi una sorte così crudele? E’ il simbolo di tutte le sofferenze del mondo: dai 40 martiri romani che videro l’inferno a Sebaste, a cui è dedicata appunto la cattedrale, ai bambini di oggi, innocenti vittime prima dei massacri della guerra e poi di un sisma tra i più violenti della storia che ha procurato 4500 vittime (al momento in cui scriviamo) che potrebbero essere decine di migliaia. Sirene, odore della morte, edifici che cadono da soli a distanza di ore dalla scossa di 7.9 scala Richter.

La natura ha infierito su Aleppo. Soccorrere la gente rimasta sotto le macerie è quasi impossibile, non ci sono strade, le infrastrutture sono danneggiate, gli ospedali sono pochi. In questi mesi i bambini di Aleppo hanno dovuto affrontare epidemie di morbillo e colera. Non c’è cibo a sufficienza. Che dio può mai esistere se ancora su questa terra esiste Aleppo, la città Patrimonio dell’umanità così dimenticata da tutti, la Capitale culturale del mondo islamico che per millenni ha fatto convivere arabi e armeni, turchi e curdi?

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