Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il passo indietro l’ha dovuto fare. Troppa la gente nelle piazze a protestare per una riforma della Giustizia che è il suo cavallo di battaglia, ma che non convince a molti, ministro della Difesa compreso, che infatti è stato “licenziato”.
Per ”costruire di nuovo il nostro Paese”, parole sue, c’è dunque bisogno di un rinvio. E se rimarrà inascoltato l’appello del premier “di giungere a un accordo che riesca a comporre la controversia, c’è da scommettere che Netanyahu e il suo “giusto metodo democratico”, almeno così pensa chi è al potere, andranno avanti.
“Non deve esserci una guerra civile” sul disegno di legge sulle nomine giudiziarie che indebolirebbe di fatto la Corte Suprema (con la nuova legge il Parlamento, la Knesset, ribalterebbe le decisioni della Corte con una maggioranza semplice, mossa che potrebbe aprire le porte a cambi più radicali: Israele è sprovvista di una Costituzione).
E’ verità però che il Paese è diviso in due, con scioperi e manifestazioni, anche violente, ovunque, da Tel Aviv a Gerusalemme. Centinaia di migliaia di persone sono scese in strada, talmente tante che è stato chiuso anche l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.