Come noi, migliori di noi, fragili. Ai tempi in cui sono connessi ogni attimo delle loro vite con altre fragilità, come per sostenere un castello di carte collettivo che inevitabilmente cadrà, i nostri giovani sono oggi vittime di quel mondo che, almeno a parole, doveva migliorare le loro esistenze.
Nessuno, nè le compagne di squadra nè il rispettabile club nel quale giocava nè forse la stessa famiglia, è riuscito a capire il dramma di Julia Ituma, 18 anni milanese di origini nigeriane che si è lanciata nel vuoto (non ha dubbi chi indaga sul caso) dal sesto piano di un albergo di Instanbul. Nessuno a scorgere quelle avvisaglie di fragilità, del mortale mix di inquietudini e stress e vuoto che hanno portato al dramma.
I nostri giovani, così staccati dal mondo che sostituiscono da tempo con uno virtuale, fatto di messaggi ed emoticon, non riescono più a confessarci che le loro attese sono di un futuro che non vedono, comunicano senza metterci il cuore di mezzo, vivono senza aspettative.
Non sapremo mai forse il perchè della fine di una giovane così amata da tutti, con un grande futuro davanti come pallavolista. Ma sappiamo che a questi nostri ragazzi dobbiamo dire qualcosa: che fino ad ora non ci siamo stati, che è l’ora di parlarci per sostituire le falsità del tempo con le parole, e che anche noi non siamo pieni come abbiamo sempre detto e neppure diversi da loro.