E’ bastato l’azzardo di un giocatore di poker per mettere all’angolo lo zar. Il leader del gruppo paramilitare Wagner, Yevgeny Prigozhin, con soli 25mila uomini ha costretto Vladimir Putin a sedersi a un tavolo e trattare. Le sue truppe, partite da Rostov occupata militarmente senza sparare neanche un colpo, sono arrivate a duecento chilometri da Mosca e hanno messo in evidenza al mondo che il “caro leader” non gode più del sostegno popolare, almeno in quella parte della Russia conquistata nella rapida avanzata.
Invece di contrastare i carri armati, i cittadini si sono fatti fotografare con essi, segno di un malessere che la mossa avventata di Prigozhin ha evidenziato. I mandanti dell’operazione sono stati forse gli stessi oligarchi che ancora sostengono ufficialmente Putin o forse, come sostiene qualcun’altro, gli stessi occidentali, ricoprendo i mercenari d’oro, per porre fine alla guerra.
Ancora è tutto scritto nell’aria e se non fosse stato per il presidente bielorusso Lukashenko, promosso dallo zar a mediatore, oggi forse le truppe di Prigozhin sarebbero a Mosca (come ha subito segnalato una nota dell’intelligence britannico).
Cambiando le minacce della mattina in un accordo (forse anche sul suo futuro) con i ribelli, Putin ha dimostrato tutta la sua debolezza. I russi non sono con lui, almeno non tutti e molti di essi non vedono l’ora che finisca la guerra. La mossa a scacchi del leader della Wagner ha sortito già i suoi effetti.
A Rostov, città di un milione di abitanti e sede del quartier generale dell’Ottava armata, nessuno si è opposto. Potrebbe essere così in molte capitali dell’ex impero sovietico. Il re è nudo. Ma su cosa possa avvenire nelle prossime ore ancora c’è cautela ovunque.