Quando gli effetti mortali del Novichok saranno invisibili, la salma di Alexei Navalny sarà restituita alla famiglia per essere sepolto. Forse. Sicuramente l’attivista politico, ucciso lentamente dal regime russo con detenzione estrema e torture, andrà sottoterra in un posto anonimo, che nessuno dovrà conoscere, perchè sennò fior di commemorazioni lo ricorderanno, a simbolo di libertà. Ma Putin (nell’occasione abbiamo avuto la conferma che ha molti amici italiani che non si vergognano neanche un po’) vuole l’esatto contrario: che la Russia dimentichi l’eroe calpestato, umiliato e infine ucciso dagli sgherri della dittatura.
Esattamente un anno fa Navalny di Daniel Roher si è guadagnato l’ammirazione mondiale per il rigore con cui è stato ideato e costruito vincendo, fra l’altro, l’Oscar come Miglior documentario. Da oggi la testimonianza sulla vita “contro” dell’avvocato ritorna nelle sale italiane. E’ il racconto dall’agosto di quattro anni fa, quando Navalny, che si senti male e successivamente entrò in coma durante un volo tra Tomsk e Mosca, fu trasportato d’urgenza a Berlino dietro le forti pressioni dell’allora cancelliere Angela Merkel. Avvelenamento, sentenziarono i medici, uguale identico a quello che, secondo fonti auterevoli, ha portato alla morte l’attivista che ha combattuto per l’intera esistenza contro la corruzione di oligarchi e potenti alla corte di Putin. Incarcerato con accuse false, Navalny ha vissuto i suoi ultimi anni, da paladino della libertà che sapeva di morire a breve, nelle colonie penali russe.