Restituire dignità agli ultimi, portare “carezze nelle solitudini della sofferenza e povertà”, soprattutto essre cristiani “illuminati e soprattutto luminosi, che tocchino con tenerezza le cecità dei fratelli”. Da Nicosia Papa Francesco lancia il suo appello d’umanità al mondo, prima di incontrare domani i rifugiati nei campi profughi, per “rinnovare la fraternità” che è la base di tutto.
“Se restiamo divisi tra di noi, se ciascuno pensa solo a sé o al suo gruppo, se non ci stringiamo insieme, non dialoghiamo, non camminiamo uniti, non possiamo guarire pienamente dalle cecità… La grazia è di vivere in comunità, di capire il valore di essere comunità. Lo chiedo per voi: possiate stare sempre insieme, essere sempre uniti… E lo chiedo anche per me”. E La Chiesa, secondo il Pontefice, deve essere “amore vissuto”, non “proselitismo, ma testimonianza; non moralismo che giudica, ma misericordia che abbraccia” e questo nei fatti significa che non si possono costruire “fili spinati per non lasciare entrare il rifugiato. Quello che viene a chiedere libertà, pane, aiuto, fratellanza, gioia e che sta fuggendo dall’odio si trova davanti un odio chiamato filo spinato. Non possiamo tacere e guardare dall’altra parte in questa cultura dell’indifferenza”.
Pensa sempre a loro, Papa Francesco (l’indifferenza ai drammi “è una malattia grave, molto grave”), “ai migranti in cerca di una vita migliore, con i quali trascorrerò il mio ultimo incontro su quest’isola”. Andrà a Lesbo, nell’inferno in terra, dove diritti e dignità sono una chimera: cinquanta immigrati saranno trasferiti da Cipro in Italia a spese della Santa Sede, come avvenne nel viaggio di cinque anni fa. Ci penserà, anche per il percorso di integrazione, la Comunità di Sant’Egidio.