Novantamila spettatori, il 17 maggio del 1953, assistettero alla partita che inaugurò lo Stadio Olimpico di Roma. Di fronte l’Aranycsapat, la Grande Squadra, ovvero la Nazionale ungherese, e l’Italia. Fino a tre anni prima lo Stadio dei Centomila, così si chiamava, era in stato di assoluto degrado. Avrebbe poi ospitato, nella sua storia, la finale dei Mondiali del ’90 e degli Europei del ’68 e dell’80, i Mondiali di Atletica Leggera e le finali delle Coppe Europee.
Quel giorno del ’53 gli italiani ammirarono quella che è stata una delle formazioni più forti di sempre, selezionata da Gusztav Sebes, un allenatore con la mania del dettaglio, un vero e proprio “sergente di ferro” che esaltava la disciplina: “La capacità non è tutto e non serve a molto se non si accompagna all’esercizio, all’allenamento, a un corretto modo di comportarsi e di vivere”.
Una squadra di fuoriclasse, quasi tutti della Honved di Budapest, la squadra dell’esercito, e con vari elementi del Voros Lobogo che oggi si chiama MTK. Un undici che presentava novità anche in chiave tattica: fu Sebes che inventò quello che attualmente si chiama “il falso nove” e cioè il centravanti che partecipa alla manovra, ruolo che interpretò magistralmente per anni Hidegkuti. La Grande Ungheria giocava con Grosics in porta, Buzansky, Lantos e Lorant in difesa, mediani Bozsik e Zakarias, davanti due fluoriclasse come Kocsis e Puskas, due ali, Budai II e Czibor e appunto Hidegkuti come nove.
Il 17 maggio di 69 anni fa vinsero i magiari per tre a zero, l’Italia giocò bene. La radio ungherese, per la prima volta, trasmise l’incontro in diretta. Nel novembre dello stesso anno la Grande Ungheria andò a umiliare gli inglesi a Wembey: gioco e spettacolo a Londra e punteggio finale di 6 a 3. Il 4 luglio dell’anno dopo, al Mondiale svizzero, l’Aranycsapat si fece battere in finale dalla Germania per 3 a 2 e ancora non si sa come una squadra così inferiore ci riuscì.