I giorni drammatici nell’Ungheria del ’56. Un ricordo (tra Marche e Umbria)

(articolo di Maurizio Verdenelli) – E me le ricordo ancora. Quelle mattine di fine ottobre del ’56. L’anno scolastico iniziato da tre settimane, la tazza del latte sul tavolo, la grossa Irradio che dominava la cucina fonte di ogni mia adolescenziale angoscia. Da Budapest assediata dai carriarmati di Krusciov notizie orribili ogni mattina.

Mia madre mi guardava mentre mi ‘chiudeva’ il grembiule nero e mi sistemava colletto inamidato e fiocco bianco: la divisa degli scolari della ‘Enzo Valentini’ al quartiere Elce di Perugia. Con quel peso sullo stomaco per la possibile terza guerra mondiale che tutti dicevano incombere, e la cartella in mano mi facevo il km di strada tra casa mia e la scuola. Il ‘revisionista’ Nagy mi appare ora come uno Zelenskij ante litteram. In realtà il leader ungherese tuttavia apparteneva storicamente in quegli anni di cupo stalinismo (ed appena post) a quella schiera di cui facevano parte il polacco Gomulka, e più tardi, nel 1968 il ceco Dubcek.

A raccontare per gli italiani la rivolta dei ‘ragazzi di Buda’ un grande inviato del Corriere della Sera: Indro Montanelli. Presto con Kadar, già prima della metà di novembre, la ribellione era soffocata. In Italia non senza conseguenze. Intellettuali del Pci come Lucio Colletti, Alberto Asor Rosa, Antonio Maccanico firmarono un manifesto di condanna e chiusero con il Pci. Gruppi di iscritti ne seguirono l’esempio in tutt’Italia: nella ‘rossa’ Umbria e pure nella Vandea marchigiana. E non tornarono più indietro per ‘quei fatti d’Ungheria’.

Molti anni dopo, ospite della scuola di giornalismo ideata a Camerino da Gino Pallotta, in un’Aula Magna del Palazzo Ducale super affollata, Montanelli parlò dei suoi ‘Controcorrente’ e poi dei tanks sovietici in una Budapest semidistrutta. Da parte mia, da giovane cronista de La Nazione, avevo goduto di quelle narrazioni da parte di un grande amico di Montanelli: il marchese Uguccione Bourbon Del Monte (al nome della nobile famiglia c’è in via Gramsci il palazzo della Filarmonica).

Contro l’invasione sovietica tuonò su L’Avanti Pietro Nenni che a Jesi aveva diretto la Camera del Lavoro, trovando poi rifugio a Cingoli dalla violenza fascista.Il seme della libertà attecchì con la revisione critica alla figura di Stalin ad opera dello stesso Kruscev che aprì all’Italia pel tramite del marchigiano Enrico Mattei. Disse il leader russo ad Italo Pietra, direttore del Messaggero e braccio destro del presidente Eni: “Della preparazione dell’attentato fui informato dal Kgb, ma l’amico Enrico non volle ascoltarmi”.

E al papa che venne a Loreto uscendo per primo dallo storico auto-isolamento, si rivolse per un estremo messaggio d’aiuto, ancora, Kruscev. Lo testimoniò a Gorbaciov nel giugno 2002, presente l’allora arcivescovo di Loreto, Comastri, il segretario dello stesso Giovanni XXIII, ‘don’ Loris Capovilla.

Quanti incroci tra Umbria/Marche e l’allora Cortina di Ferro. Nel ’69 il sacrificio di Jan Palach: il suo suicidio con il fuoco alla maniera dei monaci buddisti in Vietnam scosse il mondo. Terribile protesta contro la fine imposta alla Primavera di Praga voluta dal ‘revisionista’ Dubcek. Un gesto che sembrò innescarni altri. Anche in Italia, anche in Umbria. In quei mesi, nelle campagne vicino Perugia, si tolse la vita un giovane. “Non voleva piu’ vivere in un mondo dominato dalla violenza, era rimasto impressionato da quello che era accaduto in Cecoslovacchia” mi disse il padre.

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