(articolo di Maurizio Verdenelli) – “Pericle… tanti sono coloro che l’onda del mare sonoro inghiottì che per il dolore abbiamo gonfi i polmoni” scriveva oltre duemila anni fa Archiloco di Paronorte.
Morte in mare: una tragedia sempre attuale. “La piu’ terribile fra tutte. Solitaria, dolorosa al di là di quelle che si possano immaginare” dicono al molo 3 di Ancona. Nel porto dorico e a Ravenna ieri hanno fatto sciopero (4 ore dai sindacati che hanno intanto proclamato lo stato d’agitazione) i marinai dei rimorchiatori in attesa di sapere meglio la dinamica dell’affondamento a 50 miglia al largo di Bari del ‘Franco P’. Cinque le vittime (tra cui due dispersi, pugliesi): due anconetani ed un tunisino. Luciano Bigoni, 65, era originario di Civitanova Marche: in mare già a 14 anni. Poi ad Ancona, perchè il porto nella cittadina maceratese ancora non c’era.
“Ci si conosceva tutti, eravamo una famiglia qui al quartiere degli Archi. Marinai che venivano pure da Lampedusa. Con Luciano conoscenza profonda anche per via parentale: stava per andare in pensione. E pensava d’incrementarla andando sui rimorchiatori: una beffa crudele ed atroce, ma si può?” dice Angelo Raptis, 39 anni, ora operatore portuale e turistico all’ombra del Conero.
Stato assente in questa terribile tragedia sul mare: una strage di lavoratori finora senza un chiaro perchè. E dai familiari delle vittime dure critiche a questa pretesa ‘mancanza assistenza’ che ha sconvolto una comunità, un capoluogo affacciato storicamente sull’Adriatico ed una regione che ha 180 km da Gabicce alle foce del Tronto. E in epoche antichissime, il ‘padre Oceano’ arrivava fino ai contrafforti montuosi con l’Umbria quando a Serravalle di Chienti nuotavano gli squali (nel museo cittadino conservati temibili reperti).
Una tragedia che ricorda quella del 3 aprile 2015 ad 1,7 miglia davanti Civitanova Marche, all’altezza del Chienti. Quando poco prima di Pasqua, una ‘cozzara’ (peschereccio addetto al recupero di mitili da allevamento) si rovesciò. Forse a causa del carico eccessivo e di un’onda anomala. Cause incerte pure in questo terribile incidente sul lavoro. Morirono quattro dell’equipaggio, la maggior parte romeni.
“E’ un lavoro durissimo, ormai del tutto disertato dalle nuove generazioni. Sui pescherecci ormai s’imbarcano nella stragrande maggioranza giovani africani, per lo più magrebini. Per noi una lunga tradizione al tramonto” mi dicono un po’ rassegnati gli anziani, custodi del ‘focolare’ marinaresco: il Museo del Mare di Porto Recanati. Custodi di un tempo che appena ieri, è stato: nelle centinaia di metri quadrati un’epopea alla ‘Moby Dick’ che ogni Venerdì Santo viene rievocato unico in Italia con la processione del Cristo morto in stile marinaro.
Testimone, il Museo portorecanatese, di misteriosi ‘mostri marini’ e della leggenda della ‘Lancetta’, strumento e luogo di lavoro in mare dal lunedì al giovedì. Prima del ritorno in paese, amministrato ‘in surrogatio’ dalle donne: perfetto governo di un borgo marchigiano in riva all’Adriatico.