Era finita nel 1815 a Osnago, in provincia di Como, a seguito delle requisizioni napoleoniche che la portarono a Brera nel 1811. La tela raffigurante la Madonna con il Bambino e i santi Rocco e Severino, non è di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, ma è opera – lo rivela uno studio dello storico dell’arte Gianni Papi sul Bollettino dell’Arte del Ministero della Cultura – di Baccio Ciarpi.
“La pala della chiesa di San Rocco a Sanseverino costituisce una scoperta molto importante. Si tratta, infatti, di uno dei dipinti più rilevanti di Baccio Ciarpi collocabile, anche per le evidenze documentarie, intorno al 1618, cioè durante gli anni che sono decisivi dell’attività del pittore. Il periodo in cui Ciarpi ha come giovane allievo Pietro da Cortona che, come dimostra anche questo notevole dipinto, dovette risentire molto degli insegnamenti del maestro nella sua fase giovanile, almeno fino ai primi anni del decennio successivo” spiega Papi.
“La pala era giunta a Brera il 3 ottobre 1811 e poco tempo dopo, a seguito di una lettera di richiesta datata al 29 maggio 1815, venne inviata in deposito nella chiesa di Santo Stefano a Osnago. E nel paese comasco ancora si trovava quando, alla fine del 2020, la Pinacoteca di Brera ha deciso di rimandarla, sempre a titolo di deposito, a San Severino Marche, per farla così tornare nella chiesa da dove fu prelevata dai funzionari napoleonici”.
Ma lo studioso, che cita anche le scoperte dello storico settempedano Raoul Paciaroni, restituisce ora la pala al suo legittimo proprietario, parlando di “chiari elementi stilistici del linguaggio di Ciarpi” in questo dipinto. “La pala di Sanseverino si inserisce bene, con la data 1617–1618, dopo il ciclo di tele per Santa Lucia in Selci, del 1614, e più o meno contemporaneamente alla grande pala d’altare di San Silvestro all’Aquila, col Battesimo di Costantino, datata 1617”.
Infine, tra le argomentazioni che sostengono la tesi, si legge anche: “Il dipinto si pone fra gli esiti più riusciti della produzione di Ciarpi e va a infoltire l’attività dei suoi anni migliori e più fertili, cioè quelli del secondo decennio del Seicento”.