Più che avere come obiettivo immediato la destituzione della “Guida Suprema” Ali Khamenei, i manifestanti iraniani che affollano le piazze in questi giorni hanno fatto sapere al mondo che la repressione delle “Guardie rivoluzionarie”, la polizia locale, è brutale. Come nel passato, ancora più. Questa volta non si fermeranno. Decenni di vessazioni si sono sommati alla morte della giovane Mahsa Amini, 22 anni, colpita a morte per non aver indossato “propriamente” il velo.
Stavolta, rispetto al passato, la protesta è più estesa, specie tra le donne che in tutto l’Iran si tagliano i capelli in pubblico in segno di sfida al regime. Difficile che lo sovvertano. Ma la forza delle manifestazioni (oltre 70 morti, migliaia di arresti) segnano un nuovo capitolo per chi governa teocraticamente il Paese: questa rabbia popolare non si fermerà con un semplice bagno di sangue.
Il potere è tuttavia compatto perchè ad Ali Khamenei, ormai vecchio e debilitato, succederanno o il presidente Ebrahim Raisi o il figlio Mojtaba, entrambi esponenti della fazione più conservatrice. Ma il muro contro muro, specie quando la legittimazione popolare è ai minimi anche per via delle difficili situazioni economiche e della corruzione endemica, non potrà reggere a lungo.